zeroconsensus

Cuore, batti la battaglia!

Schäuble smonta il Recovery Fund

Wolfgang Schäuble ha pubblicato sulla FAZ [un intervento diluviale](https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-wolfgang_schauble_su_faz_scrive_con_le_proprie_forze/11_36024/), approssimativamente 3500 parole, per dire la sua sulle “speciali responsabilità di guida” (Führung, letteralmente) della Germania nel semestre di presidenza della Ue, che è appena iniziato.   * * *  Ci tiene di far sapere di volere “sostenibilità sociale ed ecologica – lotta contro il cambiamento climatico e per la conservazione della diversità biologica”, “una maggiore autonomia strategica” in campo sanitario correggendo “gli eccessi della globalizzazione”, nonché “l’unione di libertà e giustizia sociale, di progresso e sostenibilità, di democrazia, stato di diritto e diritti umani universali”. A tal fine, egli crede necessario che l’Europa debba far fronte alla Cina ed al ripiegamento degli Stati Uniti d’America, dunque “molto più di prima assumersi responsabilità nel mondo e per la propria sicurezza.   Ciò comprende pure la disponibilità ad impiegare in ultima analisi la forza militare, quanto meno di poter minacciare di usarla” e, a tal fine, implica che l’autorizzazione all’uso della ‘forza’ militare tedesca sia trasferito dal Parlamento al governo, sul modello francese.   È comunque consapevole che “cambiamenti in Europa sono difficili da imporre, senza la pressione di una grave crisi, che apre nuove possibilità di intervento e aiuta a superare gli ostacoli”, al punto che il lettore è percorso un istante dal dubbio che il vecchio stia cercando una nuova guerra, dubbio subito superato solo pensando alla notoria immaterialità dell’investimento militare tedesco.   * * *  In ogni caso, occorre “convincere i propri cittadini” epperciò “l’Europa deve riformarsi urgentemente”, pur non modificando i trattati. Qui compare l’Euro, come uno esempio di come non bisogna fare. Essendo costretta a procedere per piccoli passi, si è combinato di fare una moneta unica senza politica economica e finanziaria comune, un difetto che ormai – scrive Schäuble – avrebbe capito “pure l’ultimo arrivato”. Ed offre le sue soluzioni.   [1] Costituire un FME-Fondo Monetario Europeo, con esplicito richiamo alla sua proposta del 2010 (i bei tempi in cui il vecchio credeva ancora che “le distorsioni sarebbero molto maggiori con le precedenti valute nazionali” ed ordinava alla Grecia di “stringere la cintura”). Allora aveva detto: “per l’equilibrio interno della zona euro abbiamo bisogno di un’istituzione che abbia l’esperienza del FMI e il diritto di intervenire”. Oggi è percorso dalla nostalgia: “sono convinto che oggi saremmo in Europa molto più avanti, se nella crisi della Grecia del 2010 si fosse imposta l’idea di istituire un Fondo Monetario Europeo”. Un richiamo implicitamente evocativo al ritorno della mano dura nel controllo delle politiche fiscali.   [2] Obbedire alla [sentenza di Karlsruhe](http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/ribellione-tedesca-la-sentenza-di-karlsruhe-si-abbatte-su-bce-trattati-e-corte-di-giustizia-ue/), lì dove essa “getta una luce su questo difetto di costruzione del Trattato di Maastricht”, per tramite della futura ‘Conferenza sul futuro dell’Europa’ la quale – secondo Schäuble e con tanti saluti al romantico [Adam Tooze](https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-storico_inglese_adam_tooze_sul_principale_quotidiano_tedesco_la_sentenza_di_karlsruhe_avr_conseguenze_esplosive_per_lordinamento_giuridico_europeo/82_36005/) ed al [pur cinico Münchau](https://www.ft.com/content/a9f11763-6e3e-446c-bf77-8bae0dc630cf) – dovrebbe “concentrarci su essenziali chiarificazioni delle competenze”. E qui il lettore non può esimersi di pensare alla pretesa di Karlsruhe che Bce abbia allargato la propria competenza di politica monetaria sino ad invadere la competenza di politica economica dei governi nazionali.   [3] “Trasformare, attraverso il Recovery Fund, l’unione monetaria in un’unione economica”, attraverso “rigidi orientamenti ed un uso efficiente dei fondi” che consentano di “stimolare attraverso idee creative una nuova dinamica”: segue lungo elenco che spazia da “la trasformazione verso un’economia digitalizzata basata sulla conoscenza”, a “l’intelligenza artificiale”, a reti europee veloci, a “campioni europei in settori quali, ad esempio, le comunicazioni, l’aviazione o i servizi di pagamento”, a “l’espansione delle tecnologie dell’idrogeno” pure in Nord Africa e del Vicino Oriente. Notasi una certa apertura al modo di finanziare questi investimenti, addirittura tasse comunitarie (a fronte di una qualche estensione dei poteri del Parlamento europeo): il che potrebbe accendere qualche €-entusiasmo non si sapesse che [Merkel le ha appena cassate in blocco](http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/silenzio-parla-angela-ecco-la-vera-bomba-dellintervista-alla-merkel-fa-sua-la-sentenza-di-karlsruhe/), sicché al lettore resta solo la solita sensazione che in Germania lo sport nazionale sia il gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.  * * *  Per l’Eurozona non v’è altro, a parte un omaggio di prammatica ai Francesi, coinvolti nel disegno dei suddetti investimenti strategici e formalmente nella invenzione del Recovery Fund. Significativo [l’imbarazzo di Le Monde](https://www.lemonde.fr/international/article/2020/07/07/wolfgang-schauble-en-defense-de-la-souverainete-de-l-ue_6045465_3210.html), che solo riesce in una premessa enfatica (paragona l’articolo di Schäuble al discorso di Macron del 2017 alla Sorbona e definisce il vecchio “il portavoce di un movimento abbastanza profondo, che mostra un nuovo approccio alle questioni europee in Germania” addirittura), senza darle nel resto dell’articolo alcuna sostanza.   * * *  Per i Mediterranei il menzionato cenno all’idrogeno (che crediamo non sarebbe un cattivo affare: Snam Eni Enel hanno la tecnologia e quanto prodotto in Nord Africa e nel Vicino Oriente giungerebbe via gasdotti italiani; benché sia ben difficile che tali investimenti si riflettano in un significativo effetto diretto sul Pil italiano e, quanto agli effetti indiretti, troppo poco si sa ancora del futuro costo dell’energia così veicolata).   Eppoi la vaga proposta di “centri di soccorso e asilo al di fuori dell’UE”, ma che i paesi del Nord Africa hanno già respinto, per giunta accompagnata dalla sottolineatura del “salvataggio marittimo nel Mediterraneo, al quale siamo umanitariamente impegnati, consapevoli di incoraggiare così un cinico traffico di immigranti illegali”, nonché dalla promessa di una “una legge europea comune in materia di diritto di asilo”, cioè con esclusione dei migranti economici che rappresentano la massima parte degli sbarcati. Vaga promessa immediatamente smentita dalla grande attenzione che Schäuble riserva ai Paesi dell’Est, che non debbono essere forzati a ricevere Asilanti, presso di loro “Nazione ed Europa non devono essere giocate l’una contro l’altra”, la Polonia viene anzi invitata “ad entrare nel giro dei grandi Stati membri”, viene loro promesso che ulteriori passi integrativi verrebbero compiuti per la via della cooperazione rafforzata quindi consentendo loro di stare fuori, nell’attesa che emerga “un sentimento di appartenenza” europeo, di tutte le capitali cita Berlino-Parigi-Budapest-Varsavia.   * * *  Il lettore italiano può trarre per sé le conclusioni: avrà zero in difesa, zero in migrazione, mano dura nel controllo delle politiche fiscali, meno Bce, investimenti in digitale ed idrogeno continentali. Insomma darà via Bce e subirà mano dura nel controllo delle politiche fiscali in cambio di digitale ed idrogeno. Basta saperlo.  
(articolo di Musso)

Colpo di Stato a Ryad

di Alberto Negri

Un interessante articolo di Alberto Negri che spiega chiaramente come dietro la designazione del nuovo Principe Ereditario saudita vi è lo scontro tra Arabia Saudita e Iran per l’egemonia nel Golfo Persico ed in generale nel mondo arabo.

 

Descritto come dinamico ma impulsivo, il nuovo erede al trono saudita punta a ribaltare i rapporti di forza con l’Iran. Gli iraniani, che hanno accusato Riad per gli attentati rivendicati dall’Isis, hanno affermato che la successione è una sorta di «golpe mascherato». Il giovane principe ritiene, come ha dichiarato in un’intervista a Al Arabiya, che «la guerra debba essere portata in Iran prima che arrivi in Arabia Saudita». Non ci sono dubbi sull’ostilità tra i duellanti del Golfo.
In questo conflitto gli Stati Uniti non sono certo arbitri imparziali ma attori principali, che si devono confrontare con gli sproporzionati obiettivi di un alleato americano dal 1945 ma anche con la Russia di Putin. Hanno in pugno pace e guerra.
L’incontro di Mohammed bin Salman il 14 marzo a Washington con Donald Trump è stato fondamentale per definire i nuovi bersagli dopo la cocente delusione subita da Riad durante il mandato di Obama che aveva voluto l’accordo sul nucleare con l’Iran: isolamento del Qatar, amico di Teheran e dei Fratelli Musulmani, e apertura del fronte siriano contro la repubblica islamica, definita dai sauditi un pericolo «uguale» a quello dell’Isis.
Una tesi scellerata e contro ogni evidenza abbracciata da Trump e favorita da Israele, che vede nel regime sciita degli ayatollah un nemico «esistenziale». Se prevalesse la linea saudita ci sarebbe un salto di qualità rispetto al passato. Gli Stati Uniti, da quando nel 1979 ci fu la rottura con Teheran, non hanno mai rinunciato a destabilizzare l’Iran ma nel quadro di una politica del «doppio contenimento» sia del fronte sciita che di quello sunnita, con l’obiettivo che nessuna delle due parti dovesse prevalere sull’altra. Il dibattito su cosa fare con l’Iran adesso si è aperto all’interno della stessa amministrazione americana perché non può sfuggire che la presenza della Russia in Siria ha mutato la situazione a favore di Assad e dell’Iran, alleati cui Mosca per ora non intende rinunciare senza contropartite strategiche.
Il capo del Pentagono James Mattis, pure noto per le sue posizioni ostili a Teheran, frena su un conflitto con l’Iran, pericoloso proprio per la presenza militare americana in Siria e Iraq, che invece è visto con favore da altri esponenti del consiglio di Sicurezza Nazionale: il piano minimo è bloccare il corridoio iraniano di rifornimento che passa dall’Iraq al Sud della Siria e finisce ai terminali Hezbollah in Libano.
Il conflitto con l’Iran è un capitolo esplosivo di una sorta di guerra mondiale a pezzi cominciata nel momento in cui si pensò che nel 2011 Assad potesse essere abbattuto usando i jihadisti da parte di un fronte sunnita formato da Turchia e monarchie del Golfo con il via libera degli Usa. I sauditi con il Qatar hanno appoggiato in Siria le milizie affiliate ad Al Qaida ma gli stessi turchi oggi non vogliono un’altra guerra con l’Iran alle porte di casa.
Con la sua ideologia religiosa retrograda e l’oscurantismo wahabita, Riad ha alimentato l’estremismo sunnita: una politica avventurista che in Occidente e negli Usa viene tollerata perché i sauditi pagano tutti. Non è un caso che i servizi tedeschi del Bnd abbiamo definito la nuova leadership saudita «un vero pericolo».
In questo contesto ci sono precedenti storici e dati attuali, come le basi Usa nel Golfo e la coalizione curdo-araba a Raqqa appoggiata dagli americani, che Mohammed bin Salman vorrebbe sfruttare a suo favore con una scommessa ad alto rischio: battere Teheran e vincere la guerra in Siria e in Yemen in cui lui stesso, con rara imperizia, si è impantanato, con l’intervento decisivo degli Stati Uniti: in un mese gli americani hanno bombardato quattro volte i soldati siriani e abbattuto un caccia di Damasco, azioni precedute dal lancio spettacolare ma senza conseguenze di 59 Cruise su una base aerea siriana.
Arabia Saudita e Iran si contendono la supremazia nella regione da decenni in uno scontro indiretto ma esploso in guerre per procura da parte saudita, a partire dal 1980 quando Saddam attaccò la repubblica islamica sfruttando finanziamenti per 50-60 miliardi di dollari delle monarchie del Golfo. E oggi in Iraq e in Siria la guerra continua, così come in Yemen, dove Teheran sostiene i ribelli sciiti Houthi.
La realtà è che i sauditi sono alle corde e il conflitto con gli sciiti si è trasferito dentro lo stesso fronte sunnita. L’autorità di questa monarchia assoluta deriva dal Corano e dalla custodia della Mecca ma appare sempre meno solida: un’eventuale guerra all’Iran non la salverà più di quanto non possano fare delle vere riforme, posto che questo sia un regime riformabile.

Articolo pubblicato sul Sole24Ore

 

Banca Intesa e il salvataggio delle banche venete

 

E dunque la proposta di Banca Intesa – “di quelle che non si possono rifiutare”, direbbe Don Vito Corleone – per salvare Popolare di Vicenza e Veneto Banca è arrivata, ufficialmente oggi, sul tavolo del governo.

Proveranno a spiegarci che si tratta di un salvataggio sulla falsariga di quello fatto in Spagna da Santander nei confronti del moribondo Banco Popular.

Falso, le cose sono diverse.

Santander si è sì impegnato a salvare Popular pagando un euro ma si è presa tutta la banca, comprensi gli asset tossici ed è costretta a lanciare un aumento di capitale da 7 miliardi, mentre Banca Intesa è disposta a pagare un euro per prendersi solo la parte buona (rete commerciale, titoli di stato, crediti in bonis, ecc.) delle due venete e lasciando ad una bad bank l’onere di prendersi gli asset tossici (crediti inesigibili, partecipazioni azionarie di dubbio o nullo valore, ecc.). Bad Bank che verrà finanziata – inutile dirlo – con miliardi pubblici e con i soldi degli obbligazionisti subordinati che non rivedranno nulla dei loro risparmi.

Una proposta che sa tanto di cappio al collo e che fa leva sulla paura dei politici di dover dichiarare in maniera conclamata la bancarotta incenerendo anche i risparmi in conto corrente sopra i 100 mila euro e le obbligazioni ordinarie (oltre alle subordinate). Quindi molto meglio – per i politici non certo per lo Stato – provare questa strada. Poi per anni ci diranno che viviamo sopra le nostre possibilità, mentre in realtà stiamo pagando i disastri di Lorsignori.

 

Non basta, nella proposta capestro di Banca Intesa c’è una pretesa che non ha riscontro a mia memoria: la richiesta di “un quadro normativo” che garantisca la banca lombarda da qualsiasi pendenza legale, presente, futura, certa o ipotetica. Una proposta oltraggiosa per la democrazia, per il Parlamento e per un Governo degno di questo nome. Chiedere ufficialmente delle leggi à la carte al Parlamento è una cosa che non è minimamente compatibile con una democrazia manco solamente formale. A questo siamo arrivati.

 

Pubblicato originariamente su Megachip

I migranti e il vento di destra

 

Dite quello che volete, ma il panorama politico sta cambiando totalmente. Basta leggere gli ultimi sondaggi. Il vecchio centro-destra è al 35% circa, il PD al 26% (e se si alleasse con chi gli sta a sinistra probabilmente arriverebbe al 29%) e il M5S sta al 30%.

E’ vero come è vero che nel centro-destra la situazione non è facile: da una parte ci sono i nuovi barbari, i fasciopopulisti della Lega e dei Fratelli d’Italia con un 20% circa, e dall’altra parte tutto il notabilato predatorio in doppio petto di Forza Italia e dei rimasugli centristi con un 15%.

La cosa non è di poco conto sotto un duplice aspetto: il primo è che il centrodestra è nuovamente la prima area politica italiana e il secondo è che Berlusconi non ne è più l’azionista di maggioranza e dunque non riesce più a porsi come il suo dominus incontrastato.

A cosa può essere dovuto tutto questo stravolgimento? Io non ho dubbi: il problema è la gestione folle del fenomeno migratorio. Badate, non mi riferisco alla questione della legge sullo Ius Soli ma penso proprio all’insieme della gestione del fenomeno. Questa legge si somma ad anni di sbarchi di persone raccolte a due passi dalle coste libiche e portate in Italia, alle spese insostenibili per l’accoglienza (ben 4 miliardi solo nell’ultimo anno), alle decine di migliaia di queste persone buttate sui marciapiedi (ma è questo il modello di integrazione della sinistra?), alle ruberie assortite (pensiamo alla celeberrima telefonata del Buzzi o agli arresti dei responsabili del campo di accoglienza in Calabria).

Non parliamo poi della realtà del terrorismo islamista, che è un fenomeno che esiste e che attesta che l’integrazione in Regno Unito, in Francia e in Belgio ha fatto molto difetto; anche qui la sinistra non fa altro che appellarsi alla retorica dei buoni sentimenti, però non spiega come deve realizzarsi questa integrazione per evitare situazioni simili a quelle che vivono in altri paesi europei, con quartieri ghetto e predicatori salafiti inspiegabilmente a piede libero.

E poi attenzione, non guadiamo alla comunicazione: dicono che “non c’è alcuna invasione dall’Africa”. Certo, dati alla mano, hanno ragione. Ma se anche l’invasione non c’è, la gente ha comunque la percezione dell’invasione. E questo andrebbe per lo meno spiegato.

Insomma, se guardiamo l’insieme delle risposte che la sinistra dà al problema  c’è da rimanere esterrefatti. Dunque la paura fa guardare molti a destra. E infatti la destra avanza, avanza e avanza. E se i notabili predatori in doppio petto berlusconiani non se la sentissero di schierarsi con i puzzoni fasciopopulisti, preferendo allearsi con i loro colleghi in doppio petto del PD… beh, faccio notare che il brigantino pentastellato ha virato su posizioni anti immigrazione.

Facciamo un po’ di conto? Puzzoni fasciopopulisti al 20% e M5S al 30%….basta saper contare per capire dove si va. Giusto o sbagliato, è così.

Originariamente pubblicato su Megachip

Gli strani parallelismi tra il 2007 e il 2017

 

Nel 2007 ci furono le prime devastanti ripercussioni finanziarie dell’esplosione della bolla immobiliare (in realtà il crollo del prezzo degli immobili in Usa iniziò nel 2005).

Chiusero i primi hedge found (i più importanti furono due della banca d’affari Bear Stern) e altri generi di fondi (i più importanti furono 3 di BNP Paribas).
Tutto dipese dai titoli che cartolarizzavano mutui immobiliari garantiti da ipoteca.

Da lì fu una reazione a catena che ormai è storia.

Da notare che questi primi crack furono dei veri e propri fulmini a ciel sereno di cui molti sottovalutarono l’importanza tanto è vero che la BCE portò i tassi al 4% evidentemente aspettandosi di raffreddare una fase espansiva che non esisteva se non nei loro modelli econometrici che funzionano evidentemente come i fondi di caffè di una fattucchiera.

Ora, a distanza di 10 anni, sembra che qualcosa non torni.

O meglio, sappiamo bene che alcune nazioni sono sull’orlo del baratro sia per quanto riguarda il debito pubblico sia per quanto riguarda le banche (leggi Italia) ma questa situazione sembra uno sgradevole strascico della vecchia crisi ormai passata.

Ma c’è dell’altro: la settimana scorsa come un fulmine a ciel sereno è fallita Banco Popular una banca apparentemente solida con un CET 1 al 10%. Oltretutto la Spagna cresce al 3%.
Cosa è successo a Popular (fateci caso) nessuno lo ha detto. Sappiamo solo che dalla sera alla mattina è passata da un CET 1 al10% ad esser pagata 1 euro da Santander nel ruolo di cavaliere bianco.
Ovviamente dopo l’azzeramento degli azionisti e dei detentori di bond jr. Strano…

Non basta, le autorità spagnole vietano lo Short selling su Lendbank, un altra grossa banca evidentemente in difficoltà. Dunque il caso Popular non è isolato.
Nel frattempo la FED alza i tassi come la BCE nel 2007.

Anche qui strane similitudini.

Ma cosa potrebbe essere il sottostante che rischia di esplodere e si riprecipitarci in una nuova grande crisi? Nel 2007 fu il mercato immobiliare americano a dar la stura alla crisi. Noto però che molti economisti lanciano l’allarme sulla sovravalutazione dei titoli tecnologici. Potrebbe essere un indizio.
Poi c’è il problema dell’allargamento del differenziale tra tassi USA e tassi europei che presto o tardi creerà problemi in Europa.
Infine faccio notare che il prezzo del petrolio scende nonostante l’accordo tra Russia e Arabia Saudita.

Per tenere i prezzi alti e nonostante la crisi nel volo persico tra Qatar e paesi del Golfo che dovrebbe aiutare a tenere i prezzi alti. Il prezzo del petrolio che scende è indice di attività economica in rallentamento, inutile dirlo.

Insomma, noto che ci sono tutti gli ingredienti per l’esplosione di una nuova grande crisi.

O forse è già esplosa (come indicherebbe la crisi bancaria spagnola, improvvisa come un infarto).

PS. Ovviamente non mi riferisco all’Italia. Noi abbiamo comunque problemi, anche se non ci fosse una ulteriore crisi internazionale.

Commento inizialmente pubblicato su Contropiano

Fraterno cigolio di tank sovietici

 

Alle porte di Kiev
sono arrivati i maledetti.
Abbattono le statue
degli antichi maestri
Elevano ritratti
dei vecchi macellai.
I nuovi gerarchi
la chiamano democrazia
I ventriloqui dei giornali
ci assicurano, è goliardia.
Ma è solo il cigolio dei panzer di Guderian
coperto, questa volta, dalla menzogna di Goebbels

Pubblicata originariamente su ondecortenews.it

Macron, il vero neonazismo è rosé

Da marxista potenziale elettore della “fascista” Le Pen mi sento come un disperato zelota nella fortezza di Masada.

È un discorso davvero difficilissimo, quello che mi appresto a fare, ma ho sempre creduto nella nettezza delle idee e ho sempre detestato l’ambiguità del vigliacco.

Io se fossi francese voterei Marine Le Pen. La voterei da marxista senza se e senza ma. Spero che abbiate la bontà di seguirmi in queste poche righe certamente non esaustive e non esplicative di quel che è davvero un travaglio interiore.

Ieri Papa Francesco ha fatto un’esternazione criptica e allo stesso tempo emblematica sulle elezioni francesi: «So che una candidata è di destra e conservatrice. L’altro non so chi sia né da dove viene». Ora, ovviamente Jorge Bergoglio sa fin troppo bene da quale milieu culturale provenga Macron; probabilmente nella sua logica (è pur sempre il Papa!) ritiene che provenga direttamente dall’Inferno.

Emmanuel Macron è figlio diretto del post modernismo, del quale ha profondamente introiettato i valori che fanno parte pienamente della sua traiettoria di vita, sia quella ufficiale sia quella “segreta”. Nulla da dire – ci mancherebbe – sulle sue scelte personali, ma molto da dire sulle sue scelte valoriali e sull’impostazione culturale di cui è figlio.

L’ho detto in tutte le salse anche su questi schermi, il costruttivismo – o meglio l’impostura costruttivista – è l’avversario più subdolo di Karl Marx, quello che più potentemente ha annullato le categorie di Marx – cioè oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori – per sostituirle, appunto, con un lavoro di decostruzione – con le categorie post moderne maschi/femmine (nell’accezione culturale della dicotomia), etero/gay, bianchi/neri e chi più ne ha ne metta. Il giochino può continuare all’infinito mettendo il velo di Maya alle categorie marxiane che mostrano il volto mostruoso del capitalismo.

Macron ha come padre spirituale l’economista Jaques Attali, ben più di un economista: è un filosofo, un sociologo, un illuminato (o un ottenebrato, a seconda dell’ottica con la quale lo si vuole guardare), un visionario che guarda lontano e che allo stesso tempo disegna il futuro. Ma quale futuro disegna Attali? Lascio a lui la parola così come l’ha pronunciata in un intervista a la Repubblica del 19 Agosto 2014:

«La riproduzione diventerà compito delle macchine, mentre la clonazione e le cellule staminali permetteranno a genitori-clienti di coltivare organi a volontà per sostituire i più difettosi. Un bambino potrà essere portato in grembo da una generazione precedente della stessa famiglia o da un donatore qualsiasi, e i figli di due coppie lesbiche nati da uno stesso donatore potranno sposarsi, dando vita a una famiglia con sole nonne e senza nonni. Molto più in là, i bambini potranno essere concepiti, portati in grembo e fatti nascere da matrici esterne, animali o artificiali, con grande vantaggio per tutti: degli uomini poiché potranno riprodursi senza affidare la nascita dei propri discendenti a rappresentanti dell’altro sesso; delle donne poiché si sbarazzeranno dei gravi del parto».

Un mondo ai miei occhi distopico, il trionfo di Hitler sebbene in divisa da SS color rosa.

Il discorso sarebbe lunghissimo e certamente non adatto a questi schermi. Pongo l’accento solo su quel “genitori-clienti” che sottintende la nascita (già è nato per la verità) di un mercato della vita, ovviamente per ricchi.

Sottolineo anche l’accento sull’eugenetica degli uomini sani che attingono organi (evidentemente espiantati da uomini “inferiori” da usare come miniera). Sospetto anche che le donne che mettono al mondo gli uomini “giacimento di organi” saranno povere e che i beneficiari dei trattamenti saranno i figli di chi se lo può permettere.

Questo è il trionfo del dottor Mengele. Evito di aprire il discorso sugli archetipi psicologici dell’uomo occidentale ricco…sono gli stessi dei nazisti: vogliamo scommettere che i figli “ordinati e fatturati” saranno di pura razza ariana? O c’è qualcuno che vuole credere che molti “ordineranno” un figlio con un genoma africano?

Un discorso raggelante quello di Attali. Basta dire che tratteggia un nuovo capitalismo dove i ricchi saranno non solo ricchi ma anche quella razza superiore teorizzata da Hitler e Mengele.

Voi direte che questa è solo la visione di un pazzo? No mi spiace, Attali non è un pazzo ed è inserito in una corrente culturale fondamentale: il post moderno.

Post modernismo dal quale traggono origine tante visioni; dal Manifesto Cyborg di Donna J. Haraway (peraltro fatto studiare in quell’ignobile postribolo capitalista noto come Università di Harvard), le ideologie sul gender, il suprematismo femminista (quello che io non troppo amichevolmente chiamo nazi-femminismo) e tante altre cose, diverse ma tutte unite dal filo conduttore d voleri usare il corpo umano, la Vita come occasione di business – ultima frontiera – per il capitalismo in crisi e  forse morente.

Per tutto questo io non voterei mai, mai, mai e poi mai Macron che è figlio diretto (consapevole o inconsapevole non mi frega nulla) di questa visione distopica nella quale si sta trascinando il mondo.

Il voto alla Le Pen può essere utile? Temo di no. Forse lei è cosciente dell’importanza della partita che si sta giocando in Francia (sicuramente ne è cosciente Jorge Mario Bergoglio).  Una partita dove le questioni legate all’Euro, ai parametri di Maastricht e alla regolamentazione dell’immigrazioni sono cose minimali.

Sicuramente l’importanza della partita non è compresa dagli elettori della Le Pen che sono all’oscuro anche perché perfino i candidati non parlano di determinati temi per non spaventare.

Poco importa, i nuovi nazisti, i discepoli di Hitler e Mengele, mascherati da “buoni” vanno fermati a tutti i costi.

Quale sarebbe in tutto questo il compito dei marxisti veri? Quello di aprire il dibattito sugli sviluppi del nuovo capitalismo nascente contrapponendo le vecchie (ma attualissime) categorie marxiane all’impostura post-moderna e costruttivista.

Ovviamente nessuno lo farà né sotto l’aspetto economico né tantomeno su quello filosofico. Per questo mi sento come uno zelota nella fortezza di Masada sotto assedio romano.

Ora fucilatemi pure. Comunque delle vostre accuse di “rossobrunismo” je me’n fous. E vi contrappongo l’accusa di nazismo in divisa rosa. Nazisti siete e nazisti rimarrete.

 

Pezzo pubblicato originariamente su Megachip

Le tre sorelle di Wall Street

 

Tempi duri per i corifei cantori del libero mercato e della libera concorrenza: uno studio pubblicato dall’Università di Cambridge e finanziato dal Consiglio Europeo Ricerche, dimostra che la retorica del libero mercato, della mano invisibile smithiana e della concorrenza a vantaggio del consumatore è solo una narrazione priva di riscontri reali e dunque totalmente ideologica.

Secondo questo studio – firmato da Jan Fichtner e Eelke Heemskerk e da Javier Garcia-Bernardo – il 40% delle società americane quotate in borsa sono controllate da tre soli soggetti, i fondi Blackrock, Vanguard e State Street.

Questi fondi, che potremmo definire “le Tre Sorelle di Wall Street“, hanno asset per un valore complessivo di 11 mila miliardi dollari (11 milioni di milioni), più di tutti i fondi sovrani del mondo e tre volte tanto rispetto a tutti gli hedge found.

Secondo lo studio, questa enorme concentrazione di risorse economiche può esercitare un potere nascosto in grado di influenzare potentemente tutta l’economia americana piegandola ai propri interessi con buona pace del Libero Mercato.

In definitiva la crisi scoppiata nel 2008 ci sta portando una nuova forma di capitalismo assimilabile nelle pratiche a quello dei robber baron dell’Ottocento ma con un potere infinitamente più pervasivo nella vita delle persone a causa dell’innovazione tecnologica nei settori della robotica, dell’intelligenza artificiale e delle biotecnologie.

 

Pezzo pubblicato originariamente su Megachip

Il nuovo capitalismo del biopotere

di Andrea Fumagalli (*)

Traggo questo passo sullo sviluppo ed evoluzione del capitalismo da un’intervista concessa da Andrea Fumagalli ad IHU on-line. Alla fine del post troverete il link sul quale troverete tutta l’intervista.

Uno degli effetti della crisi che è nata dai subprime è stata evidenziare l’instabilità strutturale del nuovo capitalismo, tra finanziarizzazione e globalizzazione. Non che tale instabilità non fosse nota ad alcuni studiosi, soprattutto estranei all’ambito del mainstream economico e borghese, ma almeno quello spartiacque ha reso evidente e diffusa tale consapevolezza. Ciò che invece doveva essere ancora indagato era verso quale direzione o direzioni tale instabilità avrebbe portato negli anni a venire. Al riguardo possiamo individuare tre linee di tendenza.

Il primo punto riguarda la natura del processo di accumulazione e la conseguente valorizzazione che ne è seguita, dopo il crollo finanziario e dei Pil nel biennio 2008-09. La crisi dei subprime può essere letta come l’esito di uno scostamento tra un processo di sfruttamento di un’attività lavorativa comunque interna ad una governance del mercato del lavoro (che prevedeva l’esistenza di una remunerazione sempre più precaria e compressa), e un processo di valorizzazione finanziaria di una struttura proprietaria privata che si voleva sempre più diffusa anche se sempre più impoverita.

I profitti delle grandi imprese multinazionali solo in parte derivavano direttamente dallo sfruttamento diretto del lavoro e se ciò avveniva si trattava dello sfruttamento di alcune parti dell’intero ciclo di subfornitura e di produzione, in particolare i nodi non direttamente interessati al core produttivo e tecnologico. Nonostante l’aumento dell’intensità di tale sfruttamento (precarizzazione elevata, riduzione dei diritti precedentemente acquisiti all’apogeo delle lotte nella fase alta del fordismo, scomposizione del lavoro, incapacità e spesso connivenza dei sindacati), tale base di estrazione di plusvalore non era più sufficiente di fronte all’estendersi della concorrenza globale e alla ridefinizione degli assetto geo-economici su scala mondiale con l’emergere di nuove potenze economiche capitalistiche. La valorizzazione capitalistica necessitava così di nuove fonti. La finanziarizzazione da un lato e l’accelerazione della mercificazione del territorio e della natura e la privatizzazione dei suoi beni dall’altro, potevano fornire una risposta adeguata, che si è rilevata, però insufficiente.

Da qui l’esigenza di inserire nel processo di finanziarizzazione in modo sempre più pervasivo la vita degli individui tramite il divenire rendita di porzioni crescenti del salario (soprattutto quello differito, grazie allo smantellamento dei sistema di welfare in Europa o la loro estensione in termini finanziari come è avvenuto con la riforma sanitaria di Obama negli Stati Uniti e come sta avvenendo oggi in America Latina).

La cartolarizzazione finanziaria delle condizioni di vita tramite lo sviluppo dei derivati (dalle case, ai diritti di proprietà intellettuali, alle assicurazioni sulla salute, sulla previdenza, sull’istruzione, ecc.) doveva in qualche modo compensare la possibile crisi di realizzazione dovuta all’incremento della concentrazione dei redditi a seguito di un processo di sfruttamento del lavoro che aveva raggiunto limiti non più superabili.

La crisi finanziaria del capitalismo cognitivo apre la strada al capitalismo bio-cognitivo . Il prefisso bio è, in questo caso, dirimente. Indica che l’accumulazione capitalista attuale si identifica sempre con lo sfruttamento della vita nella sua essenza, andando oltre allo sfruttamento del lavoro produttivo certificato come tale e quindi remunerato. Il valore-lavoro lascia sempre più spazio al valore-vita . Si tratta di un processo allo stesso tempo estensivo ed intensivo.

Estensivo perché l’intera vita nelle sue singolarità diventa oggetto di sfruttamento, anche nella sua semplice quotidianità. Nuove produzioni prendono piede. La ri/produzione sociale , da sempre operante nella storia dell’umanità, diventa direttamene produttiva ma solo parzialmente salarizzata; la genesi della vita (la procreazione) si trasforma in business; il tempo libero viene inscatolato, al pari delle relazioni amicali e sentimentali, all’interno di binari e di dispositivi che, grazie alle tecnologie algoritmiche, consentono estrazione di plusvalore (valore di rete); i processi di apprendimento e di formazione vengono inseriti nelle strategie di marketing e di valorizzazione del capitale; il corpo umano nelle sue componenti fisiche come cerebrali diventa la materia prima per la produzione e la programmazione della salute e del prolungamento della vita, grazie alle nuove tecniche bio-medicali.

Intensivo perche tali processi si accompagnano a nuove modalità tecniche e organizzative. La vita messa in produzione e quindi a valore si manifesta in primo luogo come intrapresa di relazioni umane e sociali. La cooperazione sociale, intesa come insieme di relazione umane più o meno gerarchiche, diventa la base dell’accumulazione capitalistica.

Il dibattito recente, soprattutto nell’ambito del marxismo autonomo, ha individuato nel comune il nuovo metodo di produzione . Si tratta di un aspetto rilevante per capire sia le forme dell’organizzazione della produzione e dell’impresa che del lavoro. Qui ci limitiamo a sottolineare come sia importante a non confondere il concetto di comune con quello dei beni comuni. E come la produzione del comune (espressione di Antonio Negri) rappresenti una nuova modalità del processo di sussunzione, che definiamo vitale e che va al di là della tradizionale dicotomia tra sussunzione formale e reale, di marxiana memoria. Il comune come metodo di produzione, in quanto forma di produzione, non può essere ontologicamente data (come invece sostiene Antonio Negri), in quanto è frutto dell’agire dei processi storici. Certamente è plausibile affermare che gli esseri umani vivono in “branco”, ovvero in comunità, e non individualmente e che quindi lo sviluppo di relazione sociali è intrinseco all’agire umano.

Il secondo punto riguarda la constatazione che il capitalismo bio-cognitivo è accompagnato da un accelerazione del progresso tecnologico. E’ ancora prematuro per affermare se un nuovo paradigma tecnologico è alle porte ma stiamo assistendo ad alcune avvisaglie che possono confermare questa ipotesi. Ciò che emerge è un progredire dell’ibridazione tra macchina e umano verso una direzione che vede allo stesso tempo sperimentazione di forme di automazione completa finalizzata alla sostituzione dell’essere umano in alcune sue funzioni rilevanti, da un lato, e innesti macchinici nel corpo umano, dall’altro. I settori dell’intelligenza artificiale, le biotecnologie, le nano tecnologie, la costruzione di tessuti umani con la sperimentazione genetica, le neuroscienze, l’industria dell’elaborazione di masse di dati sempre più complessi e indiviaualizzati (big data) ci mostrano una via nella quale il divenire umano della macchina si coniuga con il divenire macchinino dell’umano. Al di là della dinamica futura che tali traiettorie prenderanno, comunque verso la costruzione di un post-umano , ciò che ci interessa osservare è come la separazione tra uomo e macchinico venga meno. Non solo il rapporto tra lavoro astratto e lavoro concreto subisce una torsione ma anche il rapporto tra capitale costante e capitale variabile, tra lavoro morto e lavoro vivo, tende a modificarsi sempre più sino a una nuova metamorfosi tra capitale e lavoro.

Tale dinamica pone una serie di nodi teorici ed empirici rilevanti.

Il terzo punto riguarda l’indagine della nuova composizione sociale del lavoro che ne è derivata. Assistiamo al crescere di una soggettività del lavoro plurima e differenziata che rende di fatto impossibile, allo stato attuale dei fatti, l’individuazione di un’omogenea composizione sociale di classe. La coesistenza di forme non salariali, di forme di lavoro non pagato, di forme di semi-schiavismo, di forme di coinvolgimento emotivo-cerebrale, di forme etero dirette, forme di lavoro autonomo di III generazione, di forme di autorealizzazione e auto imprenditorialità (ad esempio, i makers) rendono difficilmente codificabile sia la composizione tecnica che politica del lavoro, ammesso che ancora queste due espressioni abbiano senso.

La crisi del lavoro salariato non apre tuttavia prospettive di superamento della condizione lavorativa, anzi la frammenta e la deprime ulteriormente. Sintomatico al riguardo è l’attuale tendenza all’annullamento della remunerazione monetaria di un numero crescente di prestazioni lavorative direttamente produttive e non assimilabile all’arcipelago del lavoro volontario e “libero” (free). La diffusione del lavoro non pagato (unpaid) non implica che non esista più remunerazione o che ci sia un furto di salario (un salario rubato) bensì una nuova forma di remunerazione che non viene definita dalla forma “salario”. Assistiamo così a nuove modalità di remunerazione del lavoro, caratterizzate da elementi sempre più simbolici, relazionali e immateriali.

Tali dinamiche portano a riconsiderare il concetto di ricomposizione tecnica del lavoro, soprattutto all’interno di un processo che si muove nella direzione del superamento della dicotomia umano-macchina. Tale tendenza significa che viene meno il rapporto capitale-lavoro? Siamo di tutt’altro avviso. Ciò che sta avvenendo, come sempre accade nel corso del cambiamento del paradigma tecnologico dominante, è una nuova configurazione di tale rapporto, dove l’elemento materiale e di conseguenza la sua misura in termini di remunerazione monetaria, perde di efficacia a vantaggio di un novo rapporto capitale-lavoro, ancor più intriso di elementi soggettivi di quanto non lo fosse già in precedenza.

L’attuale valorizzazione capitalistica si fonda sempre più sulla produzione di soggettività. Il capitale fisso si ibrida con il capitale variabile, il lavoro morto con quello vivo e viceversa. La sfida che abbiamo di fronte non è solo la riappropriazione del proprio capitale fisso ma anche, e forse soprattutto, la capacità di autogestione del proprio capitale variabile.

Passo tratto da ihuonline.unisinos.br

 

(*) È professore presso il Dipartimento di Economia Politica e Metodo Quantitativo della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Pavia, Italia.

L’attacco USA alla Siria è fallito

L’attacco americano di questa notte in risposta all’uso di armi chimiche contro la popolazione di Idiib attribuito dagli USA a Damasco è da considerarsi un completo fallimento dal punto di vista militare. Il ministero della difesa della Federazione Russa in una conferenza stampa ha definito eufemisticamente e diplomaticamente l’operazione come “a bassa efficienza” . Infatti, sempre secondo i militari russi solo 23 missili sono arrivati a bersaglio su 59 lanciati.

A riprova che l’attacco è stato “a bassa efficienza” le immagini dell’aeroporto colpito, le quali dimostrano che – certamente sì – ci sono stati danni, ma non c’è stata la completa distruzione: la pista è sostanzialmente intatta e anche molti bunker con aeromobili all’interno non presentano danni.

Come è spiegabile il fatto che ben 36 missili non siano arrivati a bersaglio?

Una percentuale di errore del 61% (36 missili persi su 59 lanciati) non è giustificabile in nessun modo con l’errore o il guasto tecnico. Questo può essere spiegato solo o con l’utilizzo di sistemi di disturbo elettronico o con l’utilizzo di batterie antimissile da parte di chi si trova in Siria, verosimilmente i russi.

Iniziano intanto a circolare le prime immagini di resti di missili Tomahawk caduti in territorio siriano e ben lontani dal bersaglio nella base aerea siriana di Al Shayrat.

Qualora le informazioni diramate dal Ministero della Difesa russo fossero confermate ulteriormente da altre immagini, saremmo di fronte a un vero e proprio fiasco americano, peraltro aggravato dal fatto che si tratterebbe di una sconfitta dal punto di vista del confronto fra le tecnologie reali in campo e non per via delle circostanze politiche o umane.

Pezzo pubblicato originariamente per Megachip