Crisi valutaria
di Giuseppe Masala
La crisi economica in atto ormai da anni può essere analizzata sotto diversi aspetti: sotto l’aspetto finanziario (crisi delle banche e crisi dei debiti pubblici sovrani), crisi economica (crollo del Pil e disoccupazione) e crisi valutaria. Tutti questi aspetti sono tra loro correlati, ed è altrettanto evidente come una crisi bancaria e una crisi dell’economia reale si ripercuotano sul valore stesso delle monete. La giornata di ieri potrebbe essere ricordata come una giornata storica sotto l’aspetto valutario della crisi, infatti la Cina ed il Giappone hanno comunicato di non utilizzare più il dollaro come moneta “intermediaria” per i loro scambi commerciali. Le due nazioni si scambieranno le loro monete ad un prezzo fissato quotidianamente all’interno di una banda di oscillazione tra i 7,9 yauan per 100 yen e i 12,5 yuan per 100 yen. La notizia fondamentale è, evidentemente, il fatto che l’Impero di Mezzo e quello del Sol Levante non utilizzeranno più la divisa statunitense per intermediare i loro scambi commerciali che ammontano alla considerevole cifra di 350 miliardi di dollari.
Appare abbastanza ovvio che le due banche centrali asiatiche avranno d’ora in poi meno interesse a tenere una cospicua riserva in dollari e che in parte la sostituiranno con la moneta nazionale della controparte. Insomma, siamo di fronte ad un colpo terrificante per il dollaro visto come moneta “universale” utilizzata negli scambi internazionali ovvero il più importante strumento che garantisce l’egemonia americana come iperpotenza mondiale. Dunque siamo di fronte anche ad un evento che può avere ripercussioni imprevedibili dal punto di vista geopolitico. Ripercussioni che – temo – non tarderemo a conoscere.
Pubblicato anche su Marx21.
[…] Ho già scritto del sensazionale accordo tra Cina e Giappone che estromette (tecnicamente grazie ad un accordo di swap tra le rispettive banche centrali) il dollaro come moneta utilizzata per regolare gli scambi commerciali tra le due nazioni. La notizia è di estrema importanza per due ordini di ragioni tra loro correlate: da un lato il Dollaro perde il primato di moneta di conto negli scambi tra la seconda e la terza economia del mondo, dall’altro lato le due banche centrali asiatiche avranno meno bisogno di riserve nella divisa americana e anzi è probabile che con il tempo smobilizzino, almeno in parte,. le loro riserve. A distanza di poco tempo mi vedo costretto a ritornare sull’argomento per segnalare che a margine del summit delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, tenutosi a Rio de Janeiro, la Cina ha siglato un altro accordo simile con il Brasile. La swap tra le due nazioni (le loro banche centrali, per la precisione) è per un equivalente di 30 miliardi di dollari. Certamente, l’importo è di una dimensione meno rilevante rispetto a quello tra Giappone e Cina ma sta a segnalare una politica ormai consolidata della Cina: quella di non utilizzare più dollari come strumento per il suo commercio estero. L’ormai autorevolissimo zerohedge ha iniziato a parlare di vera e propria “trappola per il dollaro” e di allargamento dell’area “no dollar“. Un evidente problema per l’impero americano che ha proprio nella sua moneta uno degli strumenti fondamentali del proprio dominio. Di fondamentale importanza anche il fatto che questo accordo sia stato fatto con la più importante nazione dell’America Latina. Evidentemente la penetrazione commerciale (e anche valutaria, a questo punto) dell’Impero di Mezzo è arrivata in quello che – dottrina Monroe alla mano – è arrivata anche in quello che dagli USA è considerato come il loro “cortile di casa“. Altro aspetto fondamentale è che più si allarga la zona “no dollar” più difficile è per la Feeral Reserve porre in essere manovre di allentamento monetario (quantitative easing) per sostenere le disastrate finanze pubbliche statunitensi. Gli americani hanno sempre detto che il dollaro era la loro moneta e il problema degli altri paesi, proprio perchè facendo leva sul fatto che il dollaro era la moneta di conto negli scambi internazionali potevano finanziare quasi in maniera infinita le loro finanze pubbliche. Ora, il contratto di swap sta diventando il loro problema e potrebbe diventare la pietra tombale del loro iperpotere. […]