L’oro di Roma

di Giuseppe Masala

Leggo sul bel blog di Mario Seminerio una notizia, ripresa dal Financial Times, che chiarisce quello che è il reale stato delle banche italiane. In termini tecnici lo possiamo definire disperato, sempre che la notizia sia confermata. Pare infatti che i banchieri stiano facendo pressioni per poter iscrivere a bilancio le loro partecipazioni in Banca d’Italia ad un prezzo che tenga conto del valore delle riserve auree di proprietà del nostro ex Istituto di emissione.

Al di là del fatto che dal punto di vista pratico si tratta solo di un abbellimento dello Stato Patrimoniale, che non cambia la sostanza delle cose, visto che comunque queste azioni non sono quotate in Borsa e non possono essere cedute, viene  comunque da indignarsi per questa proposta indecente.

La Banca d’Italia ha si, effettivamente una strana forma giuridica dove gli azionisti non svolgono alcun ruolo di controllo e tantomeno di gestione. Tale circostanza ha una giustificazione abbastanza ovvia: il ruolo degli azionisti è puramente formale e serve a creare un sacrosanto schermo protettivo dalla politica per l’Istituto di via Nazionale.  Il legislatore ritenne correttamente che bisognava tener separate le funzioni della politica in materia economica da chi detiene il potere monetario. Sacrosanto. Detto questo, è inutile ricordare che le funzioni di emissione e regolamentazione della quantità di moneta svolte dalla banca centrale non hanno nulla a che fare con le funzioni svolte dalle banche commerciali e private. L’oro (e le riserve in valuta estera) che la Banca d’Italia nel corso della sua onorata e gloriosa attività ha accumulato servivano allo scopo di difendere la moneta emessa (sempre e comunque per conto dello Stato!) da eventuali attacchi speculativi e in generale aveva la funzione di garantirne la sua solidità sui mercati valutari. Dunque è abbastanza evidente come l’idea di incorporare nella valutazione delle azioni di proprietà delle banche private non abbia ne capo ne coda. Al limite quell’oro (assieme a quelle delle altre banche centrali della Unione Monetaria) può essere utilizzato per difendere l’Euro da un attacco speculativo dannoso per l’economia delle nazioni dove ha corso legale. E comunque in qualsiasi caso è di proprietà dello Stato Italiano che inoltre in un futuro prossimo potrebbe – chissà – incaricare la Banca Centrale di battere una nuova Lira.

Insomma, lor signori, vorrebbero surrettiziamente iscrivere a bilancio qualcosa che non gli appartiene. Tra un pò chiederanno di iscrivere a bilancio il valore di Palazzo Chigi con la giustificazione che Agostino Chigi era un loro collega (speriamo che il grande banchiere senese non si rivolti nella tomba per averlo accostato a Mussari ed allegra compagnia).

Se la tesi di un piccolo blogger che ha l’unica aspirazione di essere un cittadino consapevole non sono abbastanza autorevoli, lascio la parola ai Giudici della Suprema Corte di Cassazione che in una sentenza (a sezioni civili riunite) del 2006 hanno chiarito definitivamente (tranne che a lor signori) come stanno le cose:

La [Banca d’Italia] non è una società per azioni di diritto privato (…) bensì un istituto di diritto pubblico, secondo l’espressa indicazione dell’art. 20 del r.d. 12 marzo 1936, n. 375 (di recente ribadita anche dall’art. 19, comma 2, della legge 28 dicembre 2005, n.262), fornito pertanto di autonoma personalità giuridica.”

Inutile dire che il discorso è chiuso.

PS

Se l’indiscrezione pubblicata del Financial Times fosse confermata pare evidente la situazione disperata delle banche commerciali nonostante i notevoli aiutoni (dai Tremonti’s Bond all’LTRO di Draghi e senza dimenticare la possibilità di emettere obbligazioni garantite dallo Stato concessa da Monti) dati dallo Stato e dalla BCE in questi anni di crisi, credo che le possibili soluzioni siano due:

1) Dare fuoco alle polvereri della “distruzione creativa” di schumpeteriana memoria: chi non è in grado di salvarsi venga lasciato affondare. In questo caso assisteremo ad uno dei più tristi copioni del sistema capitalista, basti pensare al caso del Banco Ambrosiano. Per quanto riguarda i risparmiatori poi, la lezione sarebbe altamente propedeutica. Impareranno che in un sistema dove le banche sono private non tutti i banchieri sono uguali, alcuni agiscono secondo prudenza altri seguono gli spiriti animali della loro avidità. Il risparmiatore imparerà dunque a scegliere ciò che fa per il suo caso.

2) Le banche vadano nazionalizzate e lo Stato investa per rimetterle in sesto, tenendo conto che il primo compito delle banche è quello di sostenere l’economia reale dando credito ad imprese e famiglie. In questo caso i risparmiatori dormirebbero sonni tranquilli. Si tenga conto che questa non è una ipotesi lunare, si tratta semplicemente di tornare alla situazione precedente alla sbornia ultraliberista degli anni novanta.