zeroconsensus

Cuore, batti la battaglia!

Tag: Italia

Deflazione Debito Default, l’Italia in 3D

italia

 

Volendo parlare di cose economiche, tra i dati resi pubblici in questi giorni saltano agli occhi i seguenti:

  • L’ondata deflattiva ha colpito anche la Germania locomotiva d’Europa: –0,1%;
  • A marzo in Italia la deflazione si attesta allo -0,5%;
  • Sempre a marzo la deflazione si attesta ad un sobrio -1,1% in Spagna;

Considerati i dati dell’indice generale dei prezzi possiamo dire che il tasso reale a cui vengono prezzati i nostri titoli di stato decennali (BTP) è di circa il 2% (1,5% + 0,5% di deflazione).

Se consideriamo che da un anno la BCE sta mandando avanti un piano di riacquisto di titoli di stato dei paesi dell’area euro per 60 miliardi di euro al mese (da maggio addirittura per 80 miliardi) non pare azzardato dire che senza questa manovra straordinaria l’Italia pagherebbe almeno un 9% di tasso di interesse sui titoli decennali. Il che porterebbe automaticamente ad uno stato di pre-default con intervento emergenziale della cosiddetta Trojka (BCE-UE-FMI) in stile greco.

Non sto dicendo nulla di sensazionale, chiunque può verificare tutto questo. Però come certe zie anziane, ogni tanto è bene ricordare le cose sgradevoli: non per altro, ma a marzo 2017 l’intervento straordinario della BCE dovrebbe finire e soprattutto nel 2018 ci sarà l’avvicendamento tra San Mario Draghi e il tedesco Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank.

Weidmann – stiamone certi – di sicuro non si impegnerà come il predecessore per salvare la baracca italiana.

Il debito pubblico italiano intanto a marzo si è impennato a 2.228,7 miliardi di euro, toccando un nuovo record. Naturalmente le gazzette renziane, a partire dal TG3, aprivano la pagina economica esaltandosi perché il PIL italiano nel primo trimestre del 2016 è cresciuto dell’1% rispetto al periodo gennaio-marzo 2015, dedicando poche righe distratte allo stock del debito, che cresceva di circa il 2% in un anno, una percentuale doppia. Nell’Era Renziana il debito pubblico è cresciuto di ulteriori 108 miliardi. Questo accadeva mentre diminuivano le spese in conto capitale (con un calo degli investimenti pubblici di circa il 20 per cento nel solo 2015).

E deve arrivare ancora il Fiscal Compact…

 

Pubblicato originariamente su Megachip

 

 

Il pendolo bancario (parte II)

Qualche mese fa scrissi un pezzo dal titolo “Il Pendolo della crisi sistemica”  dove segnalavo che in Spagna ad un abbassamento dei tassi di interessi sui titoli di stato – grazie a manovre di austerità – stava corrispondendo un aumento delle sofferenze bancarie sui crediti, proprio a causa del peggioramento del clima economico generale venutosi a creare.

Avevo specificato che questo fenomeno poteva essere paragonato a quello del movimento di un pendolo:

1) A politiche di austerità (tagli al welfare e maggiore pressione fiscale) corrispospondono miglioramenti delle finanze pubbliche grazie all’abbassamento dei tassi di interesse sul servizio del debito, ma contemporaneamente si verifica una recrudescenza delle sofferenze bancarie (che paradossalmente gli Stati devono coprire vanificando il miglioramento delle condizioni nelle casse pubbliche) che affossa il bilancio degli istituti di credito;

2) A politiche fiscali espansive invece corrisponde un ovvio peggioramento delle condizioni delle finanze statali, ma con un miglioramento del clima economico generale che fa abbassare il livello di sofferenze sui prestiti delle banche. Si tenga conto però che il peggioramento delle condizioni delle finanze pubbliche è dannoso per le banche perchè si ha un immediata svalutazione dei Titoli di Stato di cui il portafoglio degli istituti di credito è imbottito. Tale svalutazione è tra l’altro pericolosissima perchè obbliga le banche a non cedere Titoli  di Stato sul mercato secondario. Questo per non incorrere in perdite reali; di conseguenza l’attività bancaria (concedere prestiti) rimane ingessata (credit crunch, direbbero gli anglofoni).

Questo fenomeno come era facilmente ipotizzabile non è soltanto spagnolo. Andando a verificare i dati dell’ultimo Outlook ABI si vede che si sta riproponendo anche  in Italia: le sofferenze bancarie nette ad Agosto 2012 sono pari a 65.763 milioni di euro (contro i 54.494 milioni di euro di Agosto 2011); le sofferenze bancarie lorde ad Agosto 2012 sono pari a 115.860 milioni di euro (contro i 100.209 milioni di Agosto 2011). Molto indicativo anche il tasso di incidenza delle sofferenze nette in rapporto al capitale più le riserve: era il 14,25% nell’Agosto del 2011 ed è il 17,68% nell’Agosto 2012. Un aumento davvero preoccupante e pericoloso. Infatti se consideriamo che le banche hanno partecipazioni strategiche in aziende, valutate – a Stato Patrimoniale – a prezzi assolutamente non allineati con quello che è il valore espresso dal mercato, si può temere che il capitale netto (reale) degli istituti di credito sia fortemente intaccato. Tutto questo ovviamente va a vanificare – secondo l’umile autore – il sollievo dei corsi dei titoli di stato ottenuto grazie alle famigerate manovre lacrime e sangue del Governo Monti.

Appare sempre più evidente dunque, come – dati alla mano – il contagio tra Spagna e Italia sia completamente avvenuto. Sotto la regola del Pendolo della crisi sistemica.

Thanks to rischiocalcolato.it

 

Esm: lascia o raddoppia?

La strategia per il salvataggio dell’Euro – come s’è capito – si fonda su due pilastri fondamentali:

1) L’Omt (Outright Monetary Transactions) della BCE che consiste nell’acquisto, sul mercato secondario, di titoli di stato dei paesi in difficoltà con una scadenza compresa da uno a tre anni. Da sottolineare che la BCE sterilizzerà questa emissione di moneta e pertanto non si può parlare di una operazione che aumenta la quantità di moneta in circolazione ;

2) Il Fondo ESM (European Stability Mechanism) partecipato, pro quota, dagli stati aderenti all’Euro, che ha una capienza di circa 650 miliardi (i rimanenti del fondo EFSF attivato per salvare Irlanda e Portogallo più ulteriori 500 miliardi) e che, una volta attivato, ha il compito di acquistare titoli dei paesi in difficoltà richiedenti aiuto.

Naturalmente l’attivazione di questi due strumenti comporta, per i richiedenti, l’accettazione di misure di austerità molto severe, ovvero tagli allo stato sociale e probabilmente anche licenziamenti nel settore pubblico. Dunque le stesse misure che abbiamo potuto vedere applicate in Grecia con dubbi risultati.

Al di là degli effetti economici della strategia, non pare azzardato dire che vi siano anche dei limiti tecnici. Da un lato la BCE può acquistare solo titoli con scadenza compresa tra 1 e 3 anni dei paesi in difficoltà. Per esempio nel caso dell’Italia ammontano a non più del 15% della mole complessiva dei titoli di Stato sul mercato. Quindi una cifra ben delimitata e non in grado – appena passata la probabile euforia dei mercati – di stabilizzare, nel medio periodo, lo spread a livelli sostenibili. Dall’altro lato le risorse dell’ESM (650 miliardi circa) non sembrano sufficienti a completare il lavoro della BCE: si consideri che solo i BTP italiani (dati del Ministero del Tesoro aggiornati al 31 Agosto 2012) ammontano ad oltre 1200 miliardi di euro. Tutto questo senza tener conto delle necessità della Spagna.

Ovviamente la dirigenza europea, i governi e i banchieri centrali conoscono bene i numeri e di conseguenza, i limiti della strategia. Infatti – e qui sta la notizia – secondo il Der Speagel, vi sarebbero trattative tra stati per aprire il fondo ESM ad investitori privati al fine di portare la capienza a 2000 miliardi di euro, proprio per avere i fondi sufficienti qualora a chiedere l’aiuto siano grandi paesi come la Spagna o l’Italia.

Da notare che questa apertura ai privati consentirebbe, ai tedeschi, di aggirare la sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe che obbliga il governo della Merkel a richiedere una nuova approvazione parlamentare qualora fosse necessario un aumento di fondi da destinare all’ESM da parte dello stato tedesco.

I giri di valzer delle trattative tra stati e delle quadriglie nei parlamenti non sembrano dunque finiti. Infatti – sempre secondo Der Spiegel – la Finlandia si oppone a questa apertura dell’ESM ai privati. Dall’altro lato – aggiunge lo scrivente – ben difficilmente gli occhiuti parlamentari del nord Europa non controlleranno se l’eventuale intervento privato sia “garantito” dagli stati nel caso di ristrutturazione del debito o default dei paesi soccorsi.

L’impotenza dei mandolinari

Credo sia evidente a tutti che la situazione stia per precipitare: i rendimenti dei Bonos decennali spagnoli sono schizzati ad oltre il 7,2% e quelli degli equivalenti BTP italiani ad oltre il 6,10%. Ormai i mercati finanziari sembrerebbero chiusi per i due paesi mediterranei. Certamente la situazione spagnola appare peggiore; la disoccupazione è più alta ed al dissesto del proprio sistema bancario si somma il dissesto delle finanze pubbliche delle regioni autonome. Ormai sono ben sette le istituzioni locali che hanno chiesto il soccorso a Madrid per evitare la dichiarazione formale di default. Probabilmente il governo centrale dovrà chiedere a breve l’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali (FMI, BCE, UE) per un salvataggio integrale non avendo le risorse per soccorrere il proprio sistema bancario (i cento miliardi già accordati dall’UE non sono sufficienti) in contemporanea al salvataggio delle regioni autonome.

La situazione itaiana solo apparentemente sembrerebbe  migliore, in realtà cambia poco. Innanzitutto il tasso di interesse dei BTP al 6,10% è parimenti insostenibile rispetto al 7,20% dei Bonos, per il semplice fatto che lo stock di debito italiano è superiore al PIL nazionale mentre quello spagnolo è inferiore (almeno per il momento), dunque gli iberici potrebbero reggere, un tasso più alto. Ma non basta, anche in Italia si odono sinistri scricchiolii in materia di finanza locale: dalla Sicilia al Comune di Torino. Per non parlare poi dell’inabissarsi delle quotazioni di borsa di grosse società industriali (Telecom avrà bisogno di una ricapitalizzazione, con evidente danno alle società finanziarie che la controllano?) e finanziarie (la nuova emissione di Tremonti Bonds sarà suffciente a stabilizzare MPS?). La situazione è grave.

Sembrano lontani i giorni in cui i trombettieri dei massmedia di regime elevavano al rango di nuovo salvatore della patria il professore della Bocconi. Il bluff è durato poco: lo scudo inesistente non è venuto alla luce e non arriverà fino  a quando la Corte Costituzionale Tedesca non avrà sentenziato la sua legittimità. Se il “salva spread” vedrà la luce sarà probabilmente troppo tardi, senza voler cavillare poi sul fatto che – a mio modesto avviso – è inutile allo scopo per il quale è stato progettato. Colpisce in particolar modo la dichiarazione di impotenza di Mario Monti: secondo il professore null’altro può esser fatto. Per fortuna ha capito che ulteriori tagli e ulteriori aumenti delle tasse farebbero collassare il sistema economico (probabilmente senza ottenere un aumento di gettito). Colpisce ancora di più il tour diplomatico che ha iniziato proprio oggi in Russia. Come  un governo filo americano possa andare a chiedere danaro allo Zar Putin, quando solo ieri, nella complessa  partita mediorientale, abbiamo criticato aspramente il veto posto dalla Russia a protezione del legittimo governo siriano? Come si può chiedere danaro a chi ripaghiamo con un atteggiamento ostile nella politica internazionale? Viene da dubitare sulla lucidità della nostra classe dirigente. Facile immaginare che dai russi il nostro Capo del Governo otterrà solo qualche parola di circostanza, qualche complimento sulla sua preparazione e sulla sua serietà e qualche raccomandazione per una preghiera dei Pope Ortodossi.

Anche Mario Draghi in una intervista apparsa oggi sulla stampa si è premurato di spiegare che l’euro è un processo irreversibile. Non è – per il vero – un’affermazione troppo lucida: nella vita l’unico fatto irreversibile è la morte. Non solo, ha anche spiegato che – se fosse necessario – la BCE è pronta ad intervenire “senza tabù”. Ma cosa avrà voluto dire? La BCE per statuto non può porre in essere manovre di allentamento monetario (stampare moneta e acquistare bonds direttamente dagli stati) e anche se riuscisse a convincere i paesi de “blocco nordico” sulla necessità di una simile mossa occorrerebbero mesi o anni per modificare i trattati. Quindi un’altra operazione di LTRO o simile è in arrivo? Può darsi, ma una simile operazione serve solo a guadagnar tempo al prezzo di peggiorare la situazione delle banche nel giro di pochi mesi (l’acquisto di bonds con i soldi dei due precedenti LTRO è stata letale per la situazione patrimoniale delle banche spagnole e italiane appena i soldi sono finiti e le quotazioni dei titoli di stato hanno ripreso ad inabissarsi). Quindi anche l’altro Super Mario sembra impotente rispetto al precipitare degli eventi.

Non pare infine azzardato ipotizzare che nelle stanza del potere, dove le classi dirigenti (sono tentato di scrivere dominanti) tessono le loro trame, si vivano giorni di panico: un nuovo otto settembre. Non è spiegabile altrimenti l’ipotesi di andare ad elezioni già ad Ottobre. A mio modo di vedere è la mossa della disperazione. Giustificare – come fa oggi Scalfari nella sua articolessa domericale – un simile azzardo come un arma contro lo “spread” è ridicolo e folle allo stesso tempo. E’ ovvio che lasciare la plancia della nave diretta sugli scogli accellererebbe il momento dell’impatto. Credo che una simile pazzia sia spiegabile solo ed esclusivamente con l’interesse delle classi dominanti. Per loro meglio andare ad elezioni prima che i cittadini comprendano la portata reale del disastro così da poter raccattare una maggioranza da utilizzare in Parlamento per formare l’ennesimo Governo delle Caste. Qualora si attendesse la naturale scadenza del Parlamento si rischierebbe di andare ad elezioni a disastro avvenuto  e con i cittadini inferociti. A quel punto non basterebbero i trombettieri dell’informazione di regime né il controllo deil’apparato di sicurezza dello Stato. Solo ed esclusivamente questa motivazione può aver spinto ad ipotizzare lo scioglimento anticipato del Parlamento.

Questa è la sommaria ed umile analisi del vostro piccolo blogger.

Lo sa il vento!

 

“L’Italia è una mega portaerei che si affaccia sul Mediterraneo, si sporge a Est e sbircia a Oriente. All’interno di questa portaerei c’è la Sardegna, che fa parte della portaerei ma non ha il fastidioso problema della gente e delle città. Una sorta di ponte libero, ettari ed ettari non cari, quasi spopolati ma comunque abitati da gente, i sardi, tenaci e coriacei, ma come risaputo incapaci di costituire movimenti collettivi o iniziative comuni. L’isola è povera, e per questo facilmente comprabile con poche centinaia di posti di lavoro nelle basi militari, da offrire come mangime a qualche compiacente politico nazionale e regionale.”

Rapporto CIA degli anni ’60, tratto da “Lo sa il vento, il male invisibile della Sardegna” di Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti (2011)

Lo scudo inesistente (burlesque)

Mai titolo fu più azzeccato di quello scelto stamani dall’autore di questo umile blog per definire il fantasmagorico scudo antispread partorito al vertice europeo di ieri: lo scudo inesistente. Per la verità io mi riferivo alla sua evidente inutilità. Ma il problema, a circa dodici ore di distanza, pare abbia assunto risvolti tra il comico ed il drammatico.

1) Mario Monti dichiara che l’Italia non vuoler usufruire dello scudo;

2) Mariano Rajoy dichiara che la Spagna non vuole usufruire dello scudo.

Dunque lo scudo oltre ad essere inutile (nella mia opinione)  non verrà – per stessa dichiarazione di chi lo ha voluto – utilizzato dagli stati che ne avrebbero bisogno. Un paradosso al quale non sono in grado di trovare una spiegazione plausibile se non quella che uomini disperati (governanti e professionisti della disinformazione) hanno tirato su il più grandioso spettacolo di burlesque degli ultimi tempi. Temporeggiare in attesa degli eventi (o dei miracoli) può essere una virtù ma non quando si cade nel ridicolo. 

A questo punto nessuno tocchi la Merkel e i tedeschi. Non meritano di far parte di un simile baraccone e mi auguro che nessuno chieda a Frau Angela di vestirsi da Drag Queen per “calmare i mercati“.

PS Non mi esprimo sull’euforia del tutto irrazionale che ha colpito la borsa italiana ridotta al rango di bisca clandestina al pari della borsa di Atene, dove ogni scusa è buona per non ammettere la dura realtà:  commerciare titoli di un paese in bancarotta che fa finta di non saperlo e che si aggrappa ad uno scudo inutile e che per giunta non vuole usare.

Europa anno zero

La Germania e l’Europa sono un solo e indivisibile problema. Si sono formate assieme e, se dovranno cadere, cadranno assieme. Per “caduta della Germania” non intendiamo la sua sparizione come nazione o anche come stato, pensiamo invece a un ridimensionamento: dalla sua psicosi del Drang alla normalità di un’umanità inter-nazionale. Invece, per “caduta dell’Europa” intendiamo lo smantellamento dei suoi monopoli oltreconfine, la fine della sua appartenenza alla NATO, della convenzione di Lome, delle commissioni e delle altre strutture della CEE, l’abrogazione dei suoi poteri e delle sue pretese sovranazionali, la purificazione della sua “anima” razzista vecchia di cinquecento anni.

La Germania, in ogni caso, abbandonerà l’”Europa”, se non potrà dominarla. E andrà ancora una volta a est, come ha già cominciato a fare in Jugoslavia. La Gran Bretagna è già a mezza via nella traversata dell’Atlantico, malgrado i suoi ministri e la Camera dei Comuni abbiano optato per Maastricht, dopo l’imposizione di un secondo referendum danese per volontà della potenza una volta occupante della Danimarca, la Germania, nell’incontro dei ministri CEE del 1992. La Francia, come al solito, sta in mezzo e potrebbe andare in qualunque direzione. L’Italia è marginalizzata economicamente dall’acciaio, dalle banche e dalla moneta tedeschi, ma è più “europea” dei tedeschi stessi. Tuttavia, per quanto Agnelli abbia parlato di “politica transalpina”, nella pratica le multinazionali italiane hanno fatto migliori affari con gli investimenti in Libia, Algeria, Egitto, Kenya, Mozambico, Angola, Argentina, Irak, Iran e Sudafrica (dove l’Italia è uno dei tre principali partner commerciali). La disintegrazione lenta ma sicura dell’Europa della CEE può rivitalizzare il “mediterraneismo” di Mattei. Se questo mediterraneismo fosse decolonizzato, sarebbe preferibile all’aridità della politica “transalpina”.
Decolonizzazione, tuttavia, per i paesi come l’Italia ha un significato più ricco della semplice autonomia politica ed economica dalla Germania. Significa sciogliere le catene (Samir Amin ha parlato di “slegare”) che uniscono l’Africa all’Europa, inclusa l’Italia. Questo è un processo lungo e complesso di egualizzazione fra le nazioni a tutti i livelli, che con ogni probabilità renderebbe l’Italia meno ricca ma più felice (e l’Africa più ricca e più felice).
Questa egualizzazione tra le nazioni non è un sogno, ma una necessità realistica. Per paesi come l’Italia richiede non solo di confrontarsi con il “sud”, ma di porre un freno al Drang tedesco nel cuore dell’Europa. Per l’Italia questo secondo aspetto relazionale è vitale e urgente, dato che, se non riesce a metterlo in pratica, i movimenti separatisti regionali in Lombardia, Veneto e Alto Adige possono portare queste ricche regioni del nord sotto la diretta influenza e forse sotto il controllo tedeschi. C’è già una tendenza economica in questo senso. Ulteriori perdite territoriali e politiche della Jugoslavia possono far affacciare sull’Adriatico settentrionale la Germania e avvicinarla al Mar Nero, entrambe zone con cui l’Italia ha fruttuose relazioni storiche ed economiche. La Germania potrebbe essere capace di trasformare le crescenti tendenze economiche dell’Italia “del nord” in strutture politiche. Infine la nazificazione della Germania potrebbe favorire il rinascere e il rifiorire delle secolari radici del razzismo italiano.
Queste radici sono confiscate nel profondo del processo “colombiano”. È un fenomeno non tedesco ma europeo. Ci sono naziskin italiani, francesi e tedeschi. Essi rappresentano un’ultima rinascita del razzismo insito nel sistema colonile nei suoi luoghi natali dentro l’Europa.
Le “democrazie” europee richiedono un visto d’entrata agli africani e agli asiatici, che altrimenti non possono varcare i posti di guardia di cui gli Adenauer, Schumann, Spaak e De Gasperi hanno fabbricato la chiave. Si può notare molto fascismo nelle prigioni (i “neri” costituiscono il venti per cento dei carcerati, mentre rappresentano solo il tre per cento della popolazione dell’Europa comunitaria); e così nella legislazione, che presume la colpevolezza e non l’innocenza; nella polizia fiscale; nella vasta burocrazia improduttiva; nella partitocrazia corrotta; nelle “elezioni” insignificanti ma continue; nella “libera stampa” controllata dagli stati e dalle multinazionali; nella credulità da schiavi della maggioranza dei “cittadini”; nelle menzogne dei mezzi d’informazione, monopolizzati e controllori del pensiero; infine, in ogni casus belli dell’Occidente contro l’est e il sud.
Gli asiatici e gli africani sanno cosa sono il fascismo e il nazismo; nella realtà, non astrattamente. La media degli europei, uomini e donne, pensa di saperlo, ma quando il fascismo e il nazismo sono arrivati fra e sopra di loro, fra le due guerre mondiale, non li hanno riconosciuti, se non troppo tardi. Non stanno riconoscendo il fascismo che oggi si annida nella loro “democrazia”, anzi stanno aiutando la sua ideologia e le sue guerre in tutti continenti.
Questo servilismo attivo della maggioranza (naturalmente, c’è una minoranza dissenziente, ma è quasi impotente nel suo isolamento dalla vita e delle speranze delle centocinquanta nazioni non OCED) sta prolungando una morte vivente, la vita morente di un’Europa che, ogni giorno che passa, perde sempre di più la sua ragion d’essere. La sua “casa comune” sta cadendo a pezzi. Non ha futuro, sia che languisca come “Europa germanica”, sia che la Germania l’abbandoni per un’altra notte di Valpurga.

— Hosea Jaffe – “La Germania. Verso il nuovo disordine mondiale?” (1994)

Dislocazione euroatlantica

Nota di Zeroconsensus: Propongo un estratto dal testo di Hosea Jaffe, “Via dall’azienda mondo”. In questo scritto (del 1995) l’economista africano analizza le possibili cause di un collasso del sistema capitalista occidentale.  Tra le cause individua lo scollamento – che lui già allora riusciva a vedere – esistente tra paesi dell’Unione Europea. Particolarmente interessante dal nostro punto di vista è il giudizio di Jaffe sul capitalismo italiano in perenne conflitto di interessi tra il suo essere occidentale ed il suo essere mediterraneo e “terzomondista”.  Tale contraddizione si è palesata anche nei tragici giorni dell’aggressione imperialista alla Libia di Muammar Gaddafi. Una aggressione – oltre che infame dal punto di vista etico – contraria ai nostri interessi nazionali, ma alla quale siamo stati – obtorto collo – obbligati a partecipare dai nostri “alleati” euroatlantici. In generale questo scritto ci da anche una eccellente chiave di lettura degli accadimenti di questi giorni in merito alla possibile uscita dall’Euro della Grecia. La paura degli stati appartenenti al “nucleo duro” dell’Unione (Francia, Germania ecc.) è, a mio avviso, proprio quella che sia l’inizio di quella dislocazione di cui parla Jaffe.  Vi lascio alla lettura del testo e alle vostre riflessioni non prima di ringraziare Maria Cristina Serban per il suo preziosissimo lavoro di analisi.

______________________________

“Se si desiderano delle corrette relazioni egualitarie con i paesi che s’affacciano all’Adriatico, per esempio, non si può ottenerle partendo dall’Unione Europea. Se l’Italia uscisse dall’Unione Europea, si potrebbe avere un atteggiamento differente verso quei paesi ed essi vi guarderebbero con alti occhi, tutt’affatto differenti.
Il suggerimento è di non puntare a una produzione sempre maggiore ma di cercare una produzione minore, ed efficientemente minore. Negli interessi dell’uomo e della natura, ovviamente.
L’economia mondiale è controllata e spartita tra l’Unione Europea guidata dalla Germania, il Giappone e gli Stati Uniti. Queste sono le sole potenze mondiale al giorno d’oggi. La Russia non è mai stata una potenza, era un problema che gli stati occidentali hanno cercato di rimuovere e forse hanno rimosso. Ora quelle tre potenze, con i loro patti – per esempio oggi l’accordo del Pacifico per il Giappone – controllano l’economia mondiale, gli stati, i governi, gli apparati statali, assieme alle multinazionali che controllano la maggior parte del commercio mondiale.
Sono questi tre motori a far muovere il mondo e, per come la penso io, non è realistico aspettarsi che essi si fermino da soli, dall’interno, per mezzo delle lotte di classe e simili. Può forse essere che questo avvenga negli Stati Uniti: se la gente messicana e la gente “negra” si mettono d’accordo, potrebbero produrre qualche mutamento qualitativo negli Stati Uniti. Non ci sono ancora indizi di questo, ma penso che succederà, che prenderà forma un qualche fronte politico tra “negri” e messicani negli Stati Uniti. C’è già una forza di sessanta o settanta milioni di persone, è abbastanza grande. Ma altrove non è realistico aspettarsi cambiamenti all’interno dei motori storici, e ciò signicia che i cambiamenti devono arrivare da altre direzioni.
Una prima direttrice proviene dal Terzo mondo. Qualche sviluppo, sul tipo del Kerala indiano, o un movimento all’incrontrario nell’ex Urss, in Russia, per tornare un po’ indietro. Mutamenti di questo tipo possono cambiare il sistema.
L’altra possibile direttrice è che i partner meno ricchi e più deboli delle potenze possano produrre una spaccatura. Penso che il partner povero degli Stati Uniti sia solo il Canada, ma non cambierà; l’esperienza cubana non sarà importata. Il Giappone non ha partner poveri, è da solo. Il gruppo fragile è l’Unione Europea, ora costituita da quindici paese uniti da un legame molto impari, dato che ha una coda molto lunga: Grecia, Portogallo, Spagna e Italia sono, in grado differente, quattro paesi deboli anche se l’Italia ha più di un punto di forza. Se avverrà qualche cambiamento che dislocherà l’Unione Europea, questo sarà prodotto non dalla testa ma dalla coda del treno europeo. Potrà venire dalla Grecia, che praticamente è in fondo, e dalla Spagna, che non è molto in forma, o dal Portogallo, che non è particolarmente importante (ma talvolta il tender può andare in fiamme e incendiare il treno), oppure dall’Italia, che è già lacerata dal conflitto di interessi tra quello che può guadagnare dal mercato europeo e quello che può guadagnare dall’America latina, dal Nordafrica e dal Medio Oriente. Un bel problema per il capitalismo italiano! Penso che non siano sicuri dove stia il guadagno. Secondo le ultime statistiche che ho letto, l’Italia sta andando molto bene fuori dall’Europa, ma non in Europa. E ciò può causare qualche dislocazione in Italia e nella coda del treno europeo. Questa è la seconda direttrice da cui il sistema mondiale può essere riorientato.”

Hosea Jaffe, “Via dall’azienda mondo. Dove la destra e la sinistra stanno dalla stessa parte“, 1995, Jaca Book

Melancholia italica

Ormai credo sia innegabile: la cura Monti-Draghi è completamente fallita. Il mix, intriso di ideologia liberista, che è stato imposto all’Italia sta uccidendo il paziente.  Due dati che chiariscono più di mille parole la situazione:

  • Le entrate fiscali dello Stato a marzo 2012 sono diminuite del 3,6% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. A livello trimestrale rispetto al periodo equivalente dell’anno scorso il calo si attesta ad uno 0,5%. Dunque all’aumento dell’imposizione fiscale (e al taglio della spesa pubblica) è corrisposta una diminuzione del gettito. La situazione credo tenderà a peggiorare appena arriverà la stangata dell’IMU. E’ evidente che questa imposta inciderà sulla carne viva delle famiglie che saranno costrette (mediamente) a ridurre i consumi, con conseguente dimunuzione dell’IVA.  Non intendo neanche addentrarmi in probabili situazioni di minori entrate fiscali provenienti dalle aziende e causate del probabile minor giro d’affari (aspetta e spera che l’aumento delle esportazioni compensi il “danno”).  Se non fosse un dramma si potrebbe fare della facile ironia: dal moltiplicatore keynesiano al divisore montiano.
  • A quanto esposto nel punto uno si aggiungono le turbolenze europee, in particolar modo greche e tedesche, che stanno facendo risalire i rendimenti dei titoli di stato e dunque, annullando totalmente i già flebili effetti della manovra Draghi (LTRO da mille miliardi in due rate). Tutto questo, naturalmente, svaluta uno degli  assets fondamentali, presente nel portafoglio di tutte le banche. Non solo,  c’è da aspettarsi un aumento dei rendimenti anche nelle aste primarie, aggravando le condizioni penose (vedi punto sopra) delle casse dello Stato.

Personalmente credo che non sia più sufficiente neanche l’ennesimo coniglio che potrebbe uscire dal cilindro del solito vertice europeo: mi riferisco agli eurobond. La situazione sembra assolutamente fuori controllo. Credo che ciò che manchi veramente siano  gli statisti. Ovvero donne e uomini che sappiano prendere decisioni radicali sia a livello bancario sia a livello di regolamentazione del mercato finanziario. Da notare che  secondo il premio Nobel Krugman ormai siamo alla resa dei conti: si rischia l’uscita della Grecia dall’Euro entro un mese ed il blocco dei conti correnti in Italia e Spagna. Malinconicamente condivido: questo è uno dei rischi. Forse manco il peggiore.

Destino mediterraneo

Vi propongo un grafico della Reuters (dunque una fonte più che attendibile) dove è abbastanza evidente come Spagna e Italia siano accomunate dal medesimo destino. L’area rosa indica i prestiti concessi alle banche spagnole e italiane dalla Banca Centrale Europea: per quanto riguarda le banche iberiche hanno superato ormai la cifra dei 300 miliardi di euro, mentre per le italiane ci si attesta ad una più che rispettabile cifra vicina ai 270 miliardi. Il lato curioso che il grafico spiega è che sia in Italia che in Spagna vi è una crescita notevole dei bond governativi in possesso di soggetti residenti nella nazione (linea celestina) mentre vi è uno smobilizzo notevole da parte dei possessori stranieri (guardate la linea blu scura).  E’ abbastanza evidente (come rilevato anche da molti altri) che i prestiti largamente concessi dalla BCE siano utilizzati per sopperire alla carenza di domanda da parte degli investitori stranieri che stanno scappando a gambe levate, soprattutto dalla Spagna. Naturalmente la surroga da parte degli istituti di credito nazionali è una operazione notevolmente rischiosa: Spagna e Italia stanno entrando in una fase di profonda recessione che farà esplodere ancora di più il rapporto Debito/Pil con tutte le conseguenze immaginabili (rischio di depressione dei corsi del valore dei bond nel mercato secondario) per le banche.  Appare sempre più evidente che la strategia del “prestito facile” promossa da  Mario Draghi è nulla più che un tampone che si deteriora molto rapidamente.  Inutile rilevare come la  necrosi sia più accentuata in Spagna che in Italia; credo che – in qualsiasi caso – il sistema non sia in grado di reggere ad un avvitamento in una  spirale Greca da parte della Spagna. E’ sempre più necessaria, una soluzione di sistema e non i soliti  strampalati annunci di fumosi “piani Marshall per la crescita” che hanno la sola funzione di essere spot per i governanti in parata. In caso contrario il destino della intera costruzione europea è a forte rischio.

Grazie a Connie Reiter per avermi segnalato questo simpatico grafico.